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Ruggiero Bonghi

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Ruggiero Bonghi

Ruggiero Bonghi (1826 – 1895), scrittore, filologo e politico italiano.

Citazioni di Ruggiero Bonghi

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  • [...] il Thiers aveva davvero una maniera di discorrere tutta sua. Egli conversava dalla tribuna sul soggetto che s'era proposto di trattare e l'esauriva conversando. La notizia dei fatti era copiosissima in lui; e l'abilità di esporli in tutti i loro più minuti particolari, senza stancarsi mai di riferirli alla conseguenza generale che ne voleva trarre, infinita. Non v'era nella sua parola fiamma di entusiasmo o ardore di affetto; nessun pensiero improvviso vi lampeggiava; non intendeva a commuovere gli animi. Odiava la frase: respingeva tutto quello che sapesse di declamatorio; diceva che non aveva mai visto le Assemblee ristucche d'un ragionamento chiaro, semplicemente esposto, bensì, spesso, della rettorica, per isquisita che fosse. L'intento suo era di produrre nella mente degli uditori una gran luce, quella stessa che era nella sua.[1]
  • L'uomo forte soffre senza lagnarsi, l'uomo debole si lagna senza soffrire.[2]
  • La fuga di Boulanger, che non ha osato aspettare a pie' fermo il processo, gli è venuta in aiuto. La condanna di lui in contumacia ha fatto colpo sull'animo della popolazione; è stato potuto chiamare «le concussionaire,» ed è parola che brucia. Egli non è più un pericolo né solo né accompagnato per le istituzioni presenti della Francia. Meriterebbe la sua salita e la sua ascesa uno studio a parte. Non v'ha comparsa più strana della sua nella storia della Francia. Non mai uomo più piccolo ha voluto, e in un momento è parso che potesse, divenire più grande. Ricoperto di fango dagli altri e ricoprendo di fango gli altri, portato in su per interessi diversi da politicanti, che non meritavano essi stessi la stima pubblica che negavano agli altri, il Boulanger ha risicato di mettere a soqquadro la Francia, e rendervi una guerra civile inevitabile, una guerra colma di disprezzo e di odio. Ma ora non è più; non si rileverà più.[3]
  • Niente educa il carattere quanto l'abitudine costante di dire il vero.[4]
  • Vittorio Emanuele ha nella sua presenza qualcosa di regio, che incute rispetto, qualcosa di affettuoso e domestico, che persuade ad amare. Ha l'aspetto militare, schietto, franco: ascolta come uomo assuefatto a sentirsi circondato da chi l'ama e lo stima: ha lo sguardo vivace, e che interroga: il portamento sicuro, e la parola pronta. È penetrato della missione, che gli è affidata dalla Provvidenza: persuaso della fiducia de' popoli di'Italia in lui; sicché, al primo viderlo si ravvisa nel Re il cittadino e il guerriero senza baldanza e senza paura.[5]

Leone XIII e il Governo italiano

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  • Il Papato [...] spoglio di potere temporale, non scema nell'ordine spirituale di vigoria, ma ne acquista; e diventa libero già perciò solo, che è sciolto da' peggiori vincoli che n'hanno impedito l'andare. E ciò di cui è impacciato ora, non è l'aver per sola libertà sua, ma l'averne troppa. Pur cosi vecchio, in una vita così nuova, è come i bambini, i quali, la prima volta che i genitori li lasciano andar soli, non si contentano di camminare; vanno cantando per via. Ma è una libertà, intendiamoci, la sua di ora, il cui esercizio richiede un'intera mutazione di abitudini secolari; una libertà, che dimanda un rinnovato ardore di fede e di apostolato. (p. 27)
  • [...] io non credo che il Papa s'indurrà mai a lasciare Roma. La sua dimora in paese forestiero sarebbe la più chiara smentita a tutte le querele che col poter temporale egli abbia perduta anche la libertà dell'autorità spirituale. In quel paese non sarebbe sovrano; non avrebbe territorio suo; non avrebbe sudditi suoi; non avrebbe neanche una legge delle guarentigie. Adunque, non sarebbe più Papa? Il Papato, d'altronde, non si può divellere dall'Italia dove s'è fatto per opera d'ingegni italiani. E s'aggiunga, il Papa che vivesse in Germania, quante ostilità alla Chiesa non genererebbe in Francia? O potrebbe ricoverarsi in Inghilterra, dove ce n'è già un altro dei Papi? La Spagna non ha governo assai più incerto dell'Italia? E alla politica ecclesiastica dell'Austria, cosi misurata, prudente, pacifica, non ripugnerebbe la presenza del Papa? Questi in Italia non adombra nessuno; in qualunque altro Stato adombrerebbe tutti gli altri Stati. Il che i governi sentono e intendono: e sarebbe uno dei fatti più strani, se qualcun d'essi l'invitasse a soggiornare nel suo territorio, o non ricevesse, con molto rincrescimento, la dimanda di dargli licenza di soggiornarvi. (p. 30)
  • La principale obbiezione fatta alla legge delle guarentigie è questa, che chi l'ha fatta, può disfarla. Si potrebbe rispondere: aspettate che la disfaccia; intanto usatene. Ma penetriamo più addentro. Com'è nato questo sospetto, che il governo italiano possa disfarla? Non sarebbe nato, o certo non avrebbe trovato credito, se la riputazione del governo italiano fosse rimasta intatta. Ma fatti singoli l'hanno messa a repentaglio, fatti i quali hanno mostrato, che gli mancasse una esatta persuasione dei suoi obblighi, e dell'importanza di adempierli: – un preciso concetto della fiducia che esso chiedeva, nella custodia del Papato, all'Europa, e della necessità che non gli fosse né diminuita né tolta; – il coraggio richiesto a compiere il suo debito, malgrado i partiti, tra i quali barcolla, anziché esserne retto; – e un esatto giudizio del posto che la legge delle guarentigie tiene nell'organismo dello Stato italiano, così come s'è storicamente formato. In tutti questi rispetti il governo italiano ha mancato, ed il paese, con inquietudini quali più quali meno fondate, ne paga la pena, e risica di pagarla più grave poi, poiché non sempre quando s'è liberi di non porre le cause, s'è liberi d'interromperne e sospenderne gli effetti. (p. 31)

Incipit di alcune opere

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Arnaldo da Brescia

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Il guizzare dei lampi in una notte buia, chi lo ritrarrebbe meglio, quello che ne rappresentasse continuo il bagliore, o quello che invece, a tratti, spezzato? Certo il secondo; il primo, sedotto dalla bellezza della luce, se ne sarebbe lasciato tirare a versarne troppa gran copia nella scena scelta da lui.

Camillo Benso di Cavour

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Il conte Camillo Benso di Cavour nacque dal marchese don Michele Giuseppe e da una ginevrina, Adelaide Susanna Sellon, il 10 agosto 1810. Antica e nobile stirpe era la sua: egregi fatti di guerra e di pace, erano stati cagione che il cognome della sua famiglia ricorresse spesse volte nelle storie del paese, al quale egli doveva maturare così grandi destini.

Note

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  1. Da Adolfo Thiers e l'Impero, in Nuova Antologia di scienze lettere ed arti, seconda serie, vol. VI (della raccolta vol. XXXVI), Direzione della Nuova Antologia, Firenze, 1877, pp. 879-880.
  2. Citato in G. B. Garassini e Carla Morini, Gemme, classe 5 maschile, Sandron, Milano, 1911.
  3. Da Le elezioni politiche in Francia, in Nuova Antologia di scienze lettere ed arti, terza serie, vol. 23, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1889, pp. 747-748.
  4. Da Pensieri di Ruggero [sic] Bonghi, in Luigi Morandi, Prose e poesie italiane, scelte e annotate, S. Lapi, Città di Castello, 1892, p. 434.
  5. Citato in Ruggiero Bonghi, La Deputazione del Municipio di Napoli, supplemento al n. 61 del Nazionale, 21 ottobre 1860; ripubblicato con il titolo Con la Deputazione di Napoli da Re Vittorio, 21 ottobre 1860, in Ruggiero Bonghi, Opere, Vol. 4, Ritrati e profili di contemporanei (a cura di Francesco Salata), Vol. 1, Le Monnier, Firenze, 1935, pp. 612; ripubblicato in Franco Contorbia (a cura di), Giornalismo Italiano, Volume primo 1860-1901, I meridiani, Mondadori, Milano 2007, p. 52.

Bibliografia

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