Nella cripta: differenze tra le versioni

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George Birch, un [[becchino]], rimane imprigionato all'interno di un deposito mortuario. Birch è un uomo svogliato, che non prende sul serio il suo lavoro; tratta i morti senza alcun riguardo e lavora solo quando costretto a farlo. Le bare che costruisce non sono solide, e realizzate rozzamente. All'inizio dell'inverno dell'anno precedente i becchini si resero conto che il terreno, gelato, era troppo duro per essere scavato; lasciarono così le salme dei morti (che si accumularono nei mesi) all'interno di un deposito antistante al cimitero. Era morto anche un certo Fenner, che aveva fatto alcuni favori a Birch. Per rispetto verso quell'uomo il becchino lo mise nella bara più solida e robusta; una malfatta (e troppo corta per contenere il cadavere) venne invece venne riservata al cadavere di Asaph Sawyer, a cui aveva amputato i piedi per farlo stare nella bara troppo piccola. Di quell'uomo si raccontava che nutrisse una sete di vendetta quasi inumana e che ripagasse ogni torto subito, anche il più insignificante. Bich però non ebbe alcun rimorso nell'assegnargli la bara riuscita male. Una volta giunto il digelo, il becchino si recò all'interno del deposito per prelevare le salme da seppellire; ma il vento fece sbattere la porta, e il lucchetto a lungo trascurato si ruppe, imprigionandolo all'interno. Nonostante fosse rimasto al buio in una stanza dall'odore pestidenziale, George non si fece impressionare e si prodigò per guadagnare la fuga. Adocchiò subito la sottile parete di mattoni sopra la porta di ferro, che avrebbe potuto spaccare con gli attrezzi del deposito. Per raggiungerla impilò le bare una sull'altra e mise in cima la robusta bara di Fenner, per avere un solido piano di lavoro. Dopo diverse ore il buco era quasi suffientemente largo per passare. Risalito sul cumulo di bare dopo una breve pausa, Birch sentì preoccupanti scricchiolii; una manciata di secondi dopo la bara in cima, su cui si appoggiava per lavorare, si sfondò. Il becchino sentì un tremendo dolore alle caviglie: i suoi piedi avevano sfondato il legno ed erano penetrati all'interno della bara, ferendosi. Il buco nella parete di mattoni era però ultimato, sufficiente per passare; malgrado il dolore lancinante l'uomo si trascinò fuori dal deposito, stremato. Poco dopo venne trovato e soccorso. Il medico diagnosticò la lacerazione di entrambi i tendini d'Achille dell'uomo, lacerazione dovuta a ferite simili a morsi, le impronte dentarie infatti corrispondevano a quelle di Asaph Sawyer. Il vecchio si era vendicato dell'amputazione delle gambe, rendendo per sempre invalido George Birch.
George Birch, un [[becchino]], rimane imprigionato all'interno di un deposito mortuario. Birch è un uomo svogliato, che non prende sul serio il suo lavoro; tratta i morti senza alcun riguardo e lavora solo quando costretto a farlo. Le bare che costruisce non sono solide, e realizzate rozzamente. All'inizio dell'inverno dell'anno precedente i becchini si resero conto che il terreno, gelato, era troppo duro per essere scavato; lasciarono così le salme dei morti (che si accumularono nei mesi) all'interno di un deposito antistante al cimitero. Era morto anche un certo Fenner, che aveva fatto alcuni favori a Birch. Per rispetto verso quell'uomo il becchino lo mise nella bara più solida e robusta; una malfatta (e troppo corta per contenere il cadavere) venne invece venne riservata al cadavere di Asaph Sawyer, a cui aveva amputato i piedi per farlo stare nella bara troppo piccola. Di quell'uomo si raccontava che nutrisse una sete di vendetta quasi inumana e che ripagasse ogni torto subito, anche il più insignificante. Bich però non ebbe alcun rimorso nell'assegnargli la bara riuscita male. Una volta giunto il digelo, il becchino si recò all'interno del deposito per prelevare le salme da seppellire; ma il vento fece sbattere la porta, e il lucchetto a lungo trascurato si ruppe, imprigionandolo all'interno. Nonostante fosse rimasto al buio in una stanza dall'odore pestidenziale, George non si fece impressionare e si prodigò per guadagnare la fuga. Adocchiò subito la sottile parete di mattoni sopra la porta di ferro, che avrebbe potuto spaccare con gli attrezzi del deposito. Per raggiungerla impilò le bare una sull'altra e mise in cima la robusta bara di Fenner, per avere un solido piano di lavoro. Dopo diverse ore il buco era quasi suffientemente largo per passare. Risalito sul cumulo di bare dopo una breve pausa, Birch sentì preoccupanti scricchiolii; una manciata di secondi dopo la bara in cima, su cui si appoggiava per lavorare, si sfondò. Il becchino sentì un tremendo dolore alle caviglie: i suoi piedi avevano sfondato il legno ed erano penetrati all'interno della bara, ferendosi. Il buco nella parete di mattoni era però ultimato, sufficiente per passare; malgrado il dolore lancinante l'uomo si trascinò fuori dal deposito, stremato. Poco dopo venne trovato e soccorso. Il medico diagnosticò la lacerazione di entrambi i tendini d'Achille dell'uomo, lacerazione dovuta a ferite simili a morsi, le impronte dentarie infatti corrispondevano a quelle di Asaph Sawyer. Il vecchio si era vendicato dell'amputazione delle gambe, rendendo per sempre invalido George Birch.


==Ispirazione==
==Ispirazione== vaffanculo
In una lettera<ref>Scritta nell'appartamento al n. 169 di Clinton Street, Brooklyn, negli ultimi mesi di Lovercraft a [[New York]].</ref> indirizzata a [[Clark Ashton Smith]] (datata 20 settembre 1925) Lovercraft narra come il racconto sia ispirato da un'idea di un suo conoscente del [[Massachussets]]: un becchino rimasto imprigionato in un deposito mortuario di paese mentre traspotava bare nelle tombe scavate in primavera avrebbe dovuto impilare le bare l'una sull'altra per fuggire. Lovercraft scrive a Clark di come tutto il resto (motivazioni, svolgimento, stesura) sia suo.
In una lettera<ref>Scritta nell'appartamento al n. 169 di Clinton Street, Brooklyn, negli ultimi mesi di Lovercraft a [[New York]].</ref> indirizzata a [[Clark Ashton Smith]] (datata 20 settembre 1925) Lovercraft narra come il racconto sia ispirato da un'idea di un suo conoscente del [[Massachussets]]: un becchino rimasto imprigionato in un deposito mortuario di paese mentre traspotava bare nelle tombe scavate in primavera avrebbe dovuto impilare le bare l'una sull'altra per fuggire. Lovercraft scrive a Clark di come tutto il resto (motivazioni, svolgimento, stesura) sia suo.



Versione delle 20:02, 10 ott 2010

Nella cripta
Titolo originaleIn the Vault
AutoreHoward Phillips Lovecraft
1ª ed. originale1925
GenereRacconto
SottogenereHorror
Lingua originaleinglese
AmbientazionePeck Valley Cemetery
ProtagonistiGeorge Birch

Nella cripta (In the Vault) è un breve racconto horror dello scrittore americano Howard Phillips Lovecraft, terminato il 18 settembre 1925 e pubblicato per la prima volta sul giornale amatoriale Tryout nel Novembre dello stesso anno.

Trama

George Birch, un becchino, rimane imprigionato all'interno di un deposito mortuario. Birch è un uomo svogliato, che non prende sul serio il suo lavoro; tratta i morti senza alcun riguardo e lavora solo quando costretto a farlo. Le bare che costruisce non sono solide, e realizzate rozzamente. All'inizio dell'inverno dell'anno precedente i becchini si resero conto che il terreno, gelato, era troppo duro per essere scavato; lasciarono così le salme dei morti (che si accumularono nei mesi) all'interno di un deposito antistante al cimitero. Era morto anche un certo Fenner, che aveva fatto alcuni favori a Birch. Per rispetto verso quell'uomo il becchino lo mise nella bara più solida e robusta; una malfatta (e troppo corta per contenere il cadavere) venne invece venne riservata al cadavere di Asaph Sawyer, a cui aveva amputato i piedi per farlo stare nella bara troppo piccola. Di quell'uomo si raccontava che nutrisse una sete di vendetta quasi inumana e che ripagasse ogni torto subito, anche il più insignificante. Bich però non ebbe alcun rimorso nell'assegnargli la bara riuscita male. Una volta giunto il digelo, il becchino si recò all'interno del deposito per prelevare le salme da seppellire; ma il vento fece sbattere la porta, e il lucchetto a lungo trascurato si ruppe, imprigionandolo all'interno. Nonostante fosse rimasto al buio in una stanza dall'odore pestidenziale, George non si fece impressionare e si prodigò per guadagnare la fuga. Adocchiò subito la sottile parete di mattoni sopra la porta di ferro, che avrebbe potuto spaccare con gli attrezzi del deposito. Per raggiungerla impilò le bare una sull'altra e mise in cima la robusta bara di Fenner, per avere un solido piano di lavoro. Dopo diverse ore il buco era quasi suffientemente largo per passare. Risalito sul cumulo di bare dopo una breve pausa, Birch sentì preoccupanti scricchiolii; una manciata di secondi dopo la bara in cima, su cui si appoggiava per lavorare, si sfondò. Il becchino sentì un tremendo dolore alle caviglie: i suoi piedi avevano sfondato il legno ed erano penetrati all'interno della bara, ferendosi. Il buco nella parete di mattoni era però ultimato, sufficiente per passare; malgrado il dolore lancinante l'uomo si trascinò fuori dal deposito, stremato. Poco dopo venne trovato e soccorso. Il medico diagnosticò la lacerazione di entrambi i tendini d'Achille dell'uomo, lacerazione dovuta a ferite simili a morsi, le impronte dentarie infatti corrispondevano a quelle di Asaph Sawyer. Il vecchio si era vendicato dell'amputazione delle gambe, rendendo per sempre invalido George Birch.

==Ispirazione== vaffanculo In una lettera[1] indirizzata a Clark Ashton Smith (datata 20 settembre 1925) Lovercraft narra come il racconto sia ispirato da un'idea di un suo conoscente del Massachussets: un becchino rimasto imprigionato in un deposito mortuario di paese mentre traspotava bare nelle tombe scavate in primavera avrebbe dovuto impilare le bare l'una sull'altra per fuggire. Lovercraft scrive a Clark di come tutto il resto (motivazioni, svolgimento, stesura) sia suo.

Note

  1. ^ Scritta nell'appartamento al n. 169 di Clinton Street, Brooklyn, negli ultimi mesi di Lovercraft a New York.

Bibliografia

  • Giuseppe Lippi, H.P. Lovercraft "Tutti i racconti 1923-1926", Milano, Mondadori, 1990, ISBN 88-04-33448-7.

Voci correlate

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